“C’è ancora domani”… se capiamo i bambini

Il titolo di questo post riguarda ovviamente il film di Paola Cortellesi da poco uscito al cinema. Ho amato questo film ancora prima di vederlo, e dopo averlo visto mi rendo conto che dentro di me si aprono due strade dovute ai due sguardi con cui l’ho vissuto… Con lo sguardo di madre non posso fare a meno di notare come sia prima di tutto una bellissima storia d’amore tra una madre e una figlia. Credo sia questo il filo rosso più forte che attraversa tutto il film. Una storia d’amore travagliata, fatta di rancore, impotenza rabbia, ma alla fine di riscatto e bellezza. Quello sguardo finale intenso tra le due donne che finalmente riescono a sorridere, dopo due ora in cui le abbiamo viste con i volti segnati dalla tristezza e dall’angoscia, con gli occhi pieni di terrore per  la situazione in cui vivono. Finalmente alla fine, solo tra loro riescono a trovare la forza e la luce della leggerezza, la forza della libertà interiore che è l’unica che le può salvare. La forza del legame intimo profondo intenso di una madre che vince il terrore per dare alla figlia la possibilità di crescere libera, di fare quello che lei non ha potuto fare. Quello sguardo dà la sensazione di qualcosa di indistruttibile, di eterno, di solido, qualcosa che la violenza non potrà mai più scalfire.

Con lo sguardo della psicoterapeuta invece posso vedere molto bene come in questo film ci sia un altro  aspetto fondamentale trattato con cura e delicatezza: l’effetto della violenza assistita sui bambini. Vediamo come nelle scene di violenza del marito sulla moglie i volti dei figli siano segnati dalla paura, dalla tristezza, dall’impotenza. I corpi si fanno piccoli e rannicchiati, gli occhi si spengono. Non posso fare a meno di pensare alle innumerevoli storie che ascolto nel mio lavoro quotidianamente, di persone adulte che ancora portano addosso i segni dei conflitti cui hanno assistito nell’infanzia. Genitori che litigano, scene di violenza fisica o solo verbale, sono inevitabilmente pesi che non si cancellano dall’anima vulnerabile di un bambino, che non ha strumenti per difendersi in quelle situazioni. Non svaniscono queste ferite e ce le si porta dentro spesso inconsapevolmente, fino a quando l’anima non presenta il conto, sottoforma di ansia, depressione, attacchi di panico, disturbi psicosomatici e, non ultimi, comportamenti violenti non controllabili. C’è ancora troppa ignoranza a riguardo, ancora troppe persone credono che ciò che accade nell’infanzia sia privo di importanza. Che “tanto il bambino non ricorda” e quindi tutto è lecito. Occorre invece prendere coscienza dell’enorme importanza dei primi anni della nostra vita, per potercene prendere cura e lenire le ferite inevitabili che possono occorrerci. E’ questa la vera prevenzione alla violenza, ai femminicidi e alle guerre. Perché le guerre fuori nascono prima di tutto dentro. Se un bambino cresce in un ambiente conflittuale e violento, avrà poi la guerra dentro di sé, rabbia, rancore,paura e  terrore, che possono portare ad azioni aggressive difensive… Se vogliamo parlare di pace in modo non ipocrita, dobbiamo partire dalla pace nelle nostre famiglie, dalla cura dei bambini, dobbiamo imparare a “riparare” le ferite che subiamo e che infliggiamo. Nella convivenza familiare è inevitabile che ci sia il conflitto, non siamo perfetti e non siamo immuni dalla rabbia, ma possiamo fare molto per imparare a gestirla e per riparare gli sbagli. Dobbiamo chiederci cosa stanno imparando i bambini che ci osservano. I bambini del film lo vediamo bene cosa imparano, oltre ad un modello violento  che potranno mettere in atto nella vita adulta senza porsi troppe domande, imparano anche il senso di impotenza, la paura, il non poter cambiare le cose, e questo genera sfiducia in se stessi e dunque una reiterazione dei comportamenti aggressivi per nascondere la propria fragilità. Questo film fa un servizio fondamentale. Ci ricorda che dobbiamo prenderci cura dei bambini, difenderli dalla violenza, perché assistere a scene di violenza in casa è la base della violenza nella società. La nostra, purtroppo, è una società violenta, ma non lo è perché ci sono le armi, lo è perché non siamo in grado di gestire la rabbia all’interno di noi stessi e delle relazioni. Lo è perché non proteggiamo i bambini dalla nostra incapacità di gestire le frustrazioni. Grazie quindi a Paola Cortellesi perché ha fatto un film che è una storia d’amore e di denuncia, un urlo accorato che possiamo ignorare, oppure far entrare nel cuore…

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